EMOTICONS...comunicare con le faccine
Due punti trattino parentesi… così nacque la prima faccina :-) nel 1982 e il suo inventore il dott. Fahlman forse non avrebbe mai immaginato che da quel momento in poi il modo di comunicare sarebbe stato invaso da faccine di ogni sorta e colore. Il bisogno incessante di esprimersi e comunicare ai nostri tempi non può essere più soddisfatto dalla sola parola, le famose epistole scritte dai nostri nonni ricche di emozioni tradotte in frasi poetiche sono ormai superate ed una lettera ai giorni nostri sarebbe più un insieme strano di segni e faccine espressive, molto simile ad un papiro egiziano pieno di geroglifici piuttosto che ad una vera e propria lettera d’amore. Le emoticon o emoji etimologicamente immagini delle emozioni sono la prova che la parola non è sufficiente nella comunicazione ma che si ha sempre più bisogno di un’immagine o meglio di una faccia che esprima nel modo migliore ciò che stiamo pensando, come ci sentiamo o cosa stiamo provando, all’interno di un mondo digitale che ci priva del rapporto faccia a faccia. Il web propone faccine che riproducono simpatiche espressioni, avatar che mimano comportamenti, applicazioni con cui è possibile comunicare solo con le emoticon, fino ad arrivare a Emojili il social network delle emozioni espresse solo attraverso le famose faccine senza l’utilizzo di post testuali. È stata proprio l’osservazione dell’uso spasmodico che la gente fa delle emoticon a convincere gli ideatori inglesi Matt Gray e Tom Scotto che questo social network potesse avere successo. Siamo di fronte all’eccesso del minimalismo comunicativo dove la parola non solo non basta più ad esprimersi ma viene addirittura bandita e al suo posto ritornano le immagini più immediate e più comunicative. L’uso dilagante delle emoticon, dunque, non è solo legato al risparmio di caratteri all’interno di un sms, di un post o di un commento su un social network, piuttosto sembra dipendere dal bisogno incessante di esprimere i propri stati d’animo non traducendoli in parole scarne e facilmente fraintendibili, ma in immagini semirealistiche che siano in grado di riportare in digitale l’espressione dell’emozione che non si riesce a mostrare in rete. La nostra vita è scandita dalle emozioni, sono le emozioni che ci muovono che motivano le nostre azioni e i nostri interessi, infatti, risulta impossibile non esprimerle. Le emoticon o emoji assolvono questo bisogno, ossia quello di far sapere agli altri, impossibilitati a vederci, come ci sentiamo, a prova del fatto che la comunicazione è irrimediabilmente cambiata e il verbale non è sufficiente ad esplicitare pienamente il messaggio che si vuole inviare. L’incapacità moderna di tradurre in parole le proprie emozioni è la dimostrazione che si è sviluppato un analfabetismo emozionale che non consente di dare un nome ai propri stati emotivi e conseguentemente rende difficile la loro elaborazione. L’emoticon o emoji diventa, dunque, l’ancora a cui aggrapparsi, il mezzo più efficace di comunicazione, perché è facilmente riconoscibile all’interno di un mondo che potremmo definire, consentitemi il termine, alessitimico. Con il termine alessitimico faccio riferimento ad un disturbo l’alessitimia che compromette la consapevolezza e la capacità descrittiva degli stati emotivi esperiti. Non voglio entrare, ora nel merito del disturbo che incide gravemente sulle capacità relazionali dell’individuo, voglio semplicemente evidenziare come la necessità di ricorrere alle emoticon possa essere legata all’incapacità o meglio alla mancanza della parola che meglio esprime quello stato d'animo. Il termine stesso alessitimia deriva dal greco a=mancanza, lexis=parola e thymos=emozione e sta a significare proprio la mancanza di parole per le emozioni. Pertanto lì dove manca la parola arriva l’immagine e dunque l’emoticon rappresentazione visibile e facilmente riconoscibile di ciò che proviamo. Basti pensare a Imojiapp una nuova applicazione che consente di creare l’emoticon partendo direttamente dalla foto della nostra faccia. Cosa penserebbero i grandi poeti e pensatori che hanno sprecato pagine e pagine di parole per raccontare d’amore, di coraggio, di gioia e di dolore, guardando le nostre chat, semplicemente potrebbero pensare di essere tornati indietro nel tempo, quando l’uomo prima che arrivasse la parola disegnava le emozioni e dunque le azioni da lui compiute sulla parete di una caverna. La domanda allora è lecita stiamo progredendo nel modo di comunicare oppure stiamo regredendo?