Espressioni facciali, emozioni e autismo

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Espressioni facciali, emozioni e autismo

Geometrie perfette. L’ovale del tuo viso affacciato ai quattro angoli retti di una finestra e più in là la sfera del mondo”.
(Fabrizio Caramagna)
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Inizio questo articolo partendo da questa citazione di Fabrizio Campagna, il quale con poche parole sottolinea l’importanza del volto nelle relazioni sociali. Sappiamo bene che il nostro volto è il nostro biglietto da visita, per parafrasare Campagna, esso rappresenta la nostra finestra sul mondo. Sulla nostra faccia e su quella degli altri si disegnano espressioni che esprimono emozioni e che ci consentono di comprendere meglio il nostro e l’altrui stato d’animo. L’elaborazione corretta di tali espressioni ci dà la possibilità di gestire meglio non solo le nostre emozioni e i conseguenti nostri comportamenti ma di giungere ad una più corretta interpretazione delle emozioni e del comportamento degli altri. Vediamo allora cosa accade quando questa capacità risulta essere alterata.

I disturbi dello spettro autistico (DSA) rappresentano patologie complesse e condividono compromissioni nelle aree dell’interazione sociale, della comunicazione e del comportamento che risulta essere stereotipato e ripetitivo, nonostante sia stata evidenziata una notevole variabilità nella gravità dei sintomi tra individui con DSA (Charman T, 2015). Per quanto concerne disturbi della comunicazione sociale possono manifestarsi una serie di difficoltà nella reciprocità socio-emotiva, nei comportamenti comunicativi non verbali e nello sviluppo e nel mantenimento delle relazioni sociali, pertanto, essendo la capacità di dedurre le emozioni di altre persone dalle loro espressioni facciali fondamentale per molti aspetti della comunicazione sociale, i deficit nel riconoscimento delle espressioni sono stati a lungo suggeriti come rappresentativi di una menomazione nei disturbi dello spettro dell’autismo (Hobson RP., 1986). Numerosi sono stati gli studi condotti nell' ultimo trentennio  sul riconoscimento delle espressioni facciali nell’autismo, tuttavia, i risultati a cui essi sono giunti si sono dimostrati tra loro discordanti. Infatti, alcuni studi  riferiscono di deficit altri di capacità intatte. In una review del 2010 di Harms MB et al. si evidenzia che la presenza e la gravità dei deficit di riconoscimento delle espressioni nei test sperimentali è influenzata sia dalle caratteristiche dei partecipanti (età e livello di funzionamento) sia dai requisiti del compito. Dunque, ulteriori evidenze sperimentali, suggeriscono che tali deficit nel riconoscimento delle espressioni facciali emotive sembrano essere prevalentemente presenti in bambini e adulti a basso funzionamento, ossia con persone che presentano anche disabilità intellettive (Hobson RP., 1986; Celani G. et al., 1999). Di contro, individui con alto funzionamento, come dimostrato in diverse ricerche, ottengono buoni risultati con test che descrivono le espressioni facciali in modo prototipico e che utilizzano tempi di presentazione relativamente lunghi (Baron-Cohen S et al., 1997; Castelli F., 2005; Rutherford MD, Towns AM, 2008). Tuttavia, altri studi ancora, riportano deficit in entrambi i gruppi, sia a basso che ad alto funzionamento, nel riconoscere espressioni di emozioni complesse, quali senso di colpa e sfida (Baron-Cohen S et al., 1997; Capps L. et al., 1992), espressioni che sono state presentate solo brevemente (Clark T.F. et al., 2008) o micro-espressioni di intensità basse (Wingenbach T.S.H. et al., 2017). Ulteriori evidenze sperimentali hanno, inoltre, rilevato deficit in campioni di individui adulti con DSA che presentavano un QI nella media, relativamente ad attività che richiedevano l'etichettamento di emozioni di base con tempi di presentazione illimitati (Ashwin C. et al., 2007; Macdonald H. et al., 1989; Boraston Z. et al.,2007), mentre altri non riportavano deficit nel riconoscimento di emozioni complesse (Buitelaar J.K. et al., 1999). Una meta-analisi di 48 articoli ha concluso che seppure esista una difficoltà di riconoscimento delle espressioni nell’autismo è difficile stabilire quale sia o siano le cause, per cui se ciò sia dovuto ad variabilità nella natura o alla sensibilità dei numerosi test comportamentali utilizzati per valutare il riconoscimento dell'espressione nell'ASD e/oppure ancora alle differenze nella gravità dei deficit tra le persone con DSA (Uljarevic M. et al., 2012). È da considerare, inoltre, che per poter valutare realisticamente quale sia e se sia presente un deficit nel riconoscimento delle espressioni facciali, bisognerebbe avvalersi di test che siano in grado di riprodurre le espressioni facciali tipiche del contesto quotidiano, vale a dire test rappresentativi di quelle espressioni che si producono e scompaiono in una velocissima frazione di secondi. Le persone, infatti, spesso rivelano le loro emozioni solo per un breve periodo di tempo. L'osservatore è quindi tenuto a identificare rapidamente l'espressione delle emozioni facciali per reagire in modo appropriato ai sentimenti della persona. Un recentissimo studio del 2018 di Loth E. et al., ha cercato di riprodurre queste condizioni, sottoponendo i partecipanti della ricerca (46 individui con ASD e 52 partecipanti di controllo) ad uno specifico compito definito Films Expression Task. Esso utilizzando immagini fisse catturate da scene di film, permette di combinare tre elementi che sembrano essere difficili per le persone con ASD: rappresentazione di espressioni facciali naturalistiche, inclusione di una gamma di emozioni sia di base che complesse e tempi di presentazione brevi. Tale compito è composto da 58 prove. In ogni prova, ai partecipanti sono stati inizialmente presentati alcuni aggettivi che descrivevano uno stato emotivo (ad esempio, fiducioso, soddisfatto). Successivamente sono stati brevemente, quindi, mostrate tre brevi cortometraggi uno dopo l'altro (500 ms ciascuna, con uno schermo vuoto di 500 ms tra le immagini). I filmati erano scene catturate da film realizzate in paesi non di lingua inglese per diminuire la probabilità che i partecipanti li avessero visti o che gli attori fossero familiari. All'interno di ogni prova, le scene rapresentavano lo stesso attore o attrice, ma con espressioni emotive diverse. Ai partecipanti è stato chiesto di indicare, premendo un tasto, quale delle immagini corrispondesse meglio alla parola target. In 14 prove, l'emozione target era un'emozione di base (felice, arrabbiato, triste, impaurito, sorpreso, disgustato). Nei restanti 44 studi, l'emozione target era complessa (ad esempio, beffarda, ferita, delusa, risentita, vedere il file aggiuntivo 1 per l'elenco delle emozioni target). Nelle prove con entrambe le emozioni target di base e complesse, le scene sono state selezionate per essere simili agli obiettivi in ​​termini di caratteristiche percettive e intensità dell'espressione. I risultati di questa ricerca suggeriscono che i problemi con il riconoscimento delle espressioni sono più diffusi di quanto si pensi attualmente, considerando anche il carattere più naturalistico dei compiti, in tal caso, utilizzati. Gli autori dello studio hanno riscontrato, infatti, differenze significative nell'accuratezza e nei tempi di risposta tra un gruppo di adulti e adolescenti ad alto funzionamento con ASD e un gruppo di controllo TD abbinato all'età e al QI, evidenziando che il 63% delle persone con ASD presentava gravi deficit nel riconoscimento delle espressioni facciali e che questa variabilità tra individui con DSA non era correlata all'età o al QI (verbale o non verbale), pur tenendo conto che, come ci tengono a precisare gli autori dello studio, che tale scoperta non può essere generalizzata a soggetti con ASD e disabilità intellettive, in quanto la gamma di QI nel campione corrente era limitata all'intervallo normale. Uno dei grandi vantaggi di questa ricerca è stato, sicuramente, quello di far si che il riconoscimento delle espressioni facciali potesse essere svolto tenendo conto di un contesto maggiormente realistico e naturalistico, utilizzando il Film Expression Test, il quale potrebbe rivelarsi un ottimo strumento per i prossimi e futuri studi sul riconoscimento delle espressioni facciali nell’autismo. Loth E.et al., precisano, inoltre, che le difficoltà riscontrate nel riconoscimento ed etichettamento delle emozioni complesse potrebbe essere legato a diversi e numerosi fattori quali una comprensione degli stati mentali che descrivono le stesse emozioni (Oakley B.F. et al.,2016) e/o un'anomalia nello stile di elaborazione focalizzata sui dettagli Happe F. et al., 2006) nell'elaborazione top-down (Loth E. et al., 2010) o difficoltà con altri aspetti della percezione del volto (Verhallen R.J. et al., 2017) possono aver contribuito a deficit comportamentali nel riconoscimento dell'espressione. Per quanto concerne il primo aspetto, alcuni individui con DSA ad alto funzionamento possono presentare, come sappiamo, anche deficit nella teoria della mente (Castelli F. et al., 2002) Pertanto, come affermano Loth E.et al.: “studi futuri dovrebbero sondare la comprensione delle diverse parole emozionali e spiegare le differenze individuali nella comprensione di particolari parole e del loro stato emotivo, indipendentemente dal riconoscimento della loro manifestazione nelle espressioni facciali” (Loth E.et al., 2018). In relazione al secondo aspetto relativo all’elaborazione voglio citare uno studio del 2013 di Legisa J. et al., il quale ha valutato se la compromissione del funzionamento emotivo nei bambini con autismo fosse dovuto ad una difficoltà nell'espressione facciale, nella capacità di risposta autonoma o nella descrizione verbale degli stati emotivi. Per chiarire questo problema, gli autori di questa ricerca hanno esaminato le risposte a odori piacevoli e sgradevoli in otto bambini (8-14 anni) con autismo ad alto funzionamento e 8 bambini neurotipici della stessa età. Nonostante le sottili differenze nelle azioni facciali dei bambini con autismo, i bambini di entrambi i gruppi avevano risposte emotive e autonome simili rispetto ai diversi odori presentati. Tuttavia, i bambini con autismo erano meno propensi dei bambini del gruppo di controllo a segnalare una reazione emotiva agli odori che corrispondesse alla loro espressione facciale, suggerendo una difficoltà nell'autovalutazione degli stati emotivi (Legisa J. et al., 2013).

Le numerose evidenze scientifiche mostrano una difficoltà nel riconoscimento delle espressioni facciali e delle emozioni ad esse correlate nei bambini e adulti con autismo, indipendentemente dall’età e dal livello di funzionamento, sottolineando come proprio questo aspetto dovrebbe essere maggiormente indagato e valutato per spiegare le compromissioni sociali caratteristiche di questo disturbo. Pensiamoci, come sarebbe il nostro mondo se non fossimo in grado di esprimere, riconoscere e condividere le nostre emozioni. Di certo quella finestra sul mondo di cui si parlava all’inizio rimarebbe una finestra chiusa. Informarsi e approfondire la ricerca nell’ambito delle espressioni facciali e autismo aiuterebbe senza altro a migliorare la comprensione di determinate sintomatologie, migliorando il funzionamento di alcune abilità deficitarie.

Bibliografia

Loth E., Garrido L., Ahmad J., Watson  E., Duff  A.,  Duchaine B., (2018) Facial expression recognition as a candidate marker for autism spectrum disorder: how frequent and severe are deficits?  Molecular Autism 9:7

Jasna Legiša,Daniel S. MessingerEnzo Kermol, and Luc Marlier (2013) Emotional Responses to Odors in Children with High-Functioning Autism: Autonomic Arousal, Facial Behavior and Self-Report, J Autism Dev Disord43(4): 869–879.

 Quello che il volto racconta è molto di più di ciò che noi potremmo aspettarci

Il volto di una persona può raccontarci molto di più di quanto siamo soliti aspettarci e non mi riferisco,  in questo caso specifico, alle espressioni facciali o alle emozioni, bensì ai tratti statici del volto e a quali implicazioni essi possono avere nell’ambito della ricerca sull’autismo. Negli ultimi decenni gli esami prenatali rivolgono una maggiore attenzione alla struttura facciale, in quanto numerose ricerche hanno dimostrato che specifici marker fisici legati all’atipicità del volto sono associati e caratteristici di alcuni disturbi dello sviluppo, quali Down Syndrome (Farkas, Katic, Forrest, & Litsas, 2001), Sindrome di Williams (Morris, Demsey, Leonard, Dilts, & Blackburn, 1988), Sindrome alcolica fetale (Mutsvangwa & Douglas, 2007). Di contro per quanto concerne i disturbi dello spettro autistico si è sempre ritenuto che non esistesse un fenotipo facciale specifico. Tuttavia, un filone di ricerca innovativo sta mettendo seriamente in dubbio questa ipotesi. La scoperta di marcatori biologici, infatti, potrebbe risultare fondamentale nell'intervento precoce della condizione dello spettro autistico e nell’ identificazione di potenziali fattori eziologici. Nello specifico alcune ricerche hanno riportato un aumento dei tassi di anomalie fisiche (MPA, minor physical anomalies) tra individui con spettro autistico comparati ad individui con sviluppo tipico (TD). Gli MPA riportati in persone con autismo sono stati osservati in diverse aree del corpo, tra cui testa, mani e piedi (Angkustsiri et al., 2011; Cheung et al., 2011; Man-ouilenko, Eriksson, Humble, & Bejerot, 2014; Ozgen, Hop, Hox, Beemer e van Engeland, 2010; Ozgen et al., 2011; Rodier, Bryson, & Welch, 1997). Di particolare nota, la ripetizione di anomalie nella regione cranio-facciale suggerisce che potrebbero esserci caratteristiche facciali legate alle sottopopolazioni di persone con disturbo dello spettro autistico. Il volto e il cervello, infatti, sono intrinsecamente legati nell'utero da tessuti che hanno origini comuni e si sviluppano in stretto coordinamento a causa della loro vicinanza fisica e della reciproca presenza molecolare (Marcucio, Hallgrimsson & Young, 2015). Alcune evidenze sperimentali suggeriscono che l'asimmetria dei volti sembrerebbe essere più comune in persone con disturbo dello spettro autistico; altre, inoltre, affermano che esistono sottogruppi morfologicamente distinti all'interno dello spettro autistico che correlano con diversa sintomatologia cognitiva e comportamentale (Tan et al., 2017). Un programma di ricerca ha adottato un approccio guidato dall'ipotesi di esaminare i fenotipi facciali associati ad una maggiore esposizione al testosterone prenatale e ad ASC. Gli Autori di questo studio del 2017 (Tan D.W. et al., 2017), utilizzando la fotogrammetria tridimensionale (3D), hanno indagato se i ragazzi e le ragazze in età prepuberale con ASD presentanossero una maggiore mascolinità facciale rispetto al gruppo di controllo (individui con sviluppo tipico). I risultati hanno evidenziato che i ragazzi autistici avevano punteggi di genere significativamente più bassi per i loro volti (vale a dire, più maschili) rispetto ai ragazzi del gruppo di controllo; le ragazze appartenenti al  gruppo ASD, altresì, presentavano punteggi di genere significativamente più bassi (cioè meno femminili) per il gruppo ASD rispetto al gruppo di controllo.  Gli autori sono giunti, inoltre, ad un ulteriore conclusione, molto interessante in termini di valutazione del quadro clinico del ASD, dimostrando l’esistenza di una correlazione tra mascolinità facciale e gravità dei sintomi ASD in ragazzi e ragazze in età prepuberale. In particolare per entrambi i sessi, è stata identificata un'associazione tra caratteristiche facciali ipermascolinizzate (indicate da punteggi di genere inferiori) e difficoltà di comunicazione sociale, non è, invece, emersa alcuna correlazione con l’altro criterio diagnostico utilizzato per diagnosticare l’autismo “interessi ristretti e comportamenti ripetitivi”,  entrambi sono stati valutati usando l'ADOS-G.  Questo risultato conferma un’ulteriore ricerca del 2015 (Obafemi-Ajayi et al., 2015) che dimostrava che i ragazzi autistici con più gravi difficoltà di comunicazione sociale presentavano specifiche caratteristiche facciali, quali l'aumento dell'altezza facciale e della larghezza della bocca e la diminuzione dell'altezza della metà del viso.

Questi studi risultano innovativi e molto interessanti  in quanto permettono di costruire nuovi percorsi nella ricerca eziologica che potranno consentirci in futuro di prevedere un certo tipo di sviluppo e di intervenire precocemente, diminuendo sempre di più il gap tra bambini con sviluppo tipico e bambini con autismo. Come affermano Tan et al. “Le indagini sulla struttura facciale degli individui di ASD hanno il potenziale di rivelare maggiori intuizioni nei percorsi biologici che portano all'autismo. I fenotipi facciali sono ampiamente utilizzati nella diagnosi clinica di numerosi disordini neurosviluppo e di altro tipo e forniscono un importante strumento di ricerca per l'identificazione di malattie rare e legami tra genotipo e fenotipo.” In vari ambiti, dunque, ci si concentra sempre di più sul volto ed anche in questo caso esso risulta essere una mappa preziosa che rivela con largo anticipo ciò che siamo e che saremo. 

 

Bibliografia 

Boutrus M., Maybery M. T., Alvares G. A., Tan D. W., Varcin K. J. and Whitehouse A. J. O. (2017) Investigating facial phenotype in autism spectrum conditions: The importance of a hypothesis driven approach Autism Research. 2017 Dec;10(12):1910-1918

Tan D. W., Gilani S. Z., Maybery M. T., Ajmal M., Hunt A., Walters M.,  Whitehouse A. J. O. (2017) Hypermasculinised facial morphology in boys and girls with Autism Spectrum Disorder and its association with symptomatology Scientific Reports 7, Article number: 9348 

 

EMOTICONS...comunicare con le faccine
 
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EMOTICONS...comunicare con le faccine

Due punti trattino parentesi… così nacque la prima faccina :-) nel 1982 e il suo inventore il dott. Fahlman forse non avrebbe mai immaginato che da quel momento in poi il modo di comunicare sarebbe stato invaso da faccine di ogni sorta e colore.  Il bisogno incessante di esprimersi e comunicare ai nostri tempi non può essere più soddisfatto dalla sola parola, le famose epistole scritte dai nostri nonni ricche di emozioni tradotte in frasi poetiche sono ormai superate ed una lettera ai giorni nostri sarebbe più un insieme strano di segni e faccine espressive, molto simile ad un papiro egiziano pieno di geroglifici piuttosto che ad una vera e propria lettera d’amore.  Le emoticon o emoji etimologicamente immagini delle emozioni sono la prova che la parola non è sufficiente nella comunicazione ma che si ha sempre più bisogno di un’immagine o meglio di una faccia che esprima nel modo migliore ciò che stiamo pensando, come ci sentiamo o cosa stiamo provando, all’interno di un mondo digitale che ci priva del rapporto faccia a faccia. Il web propone faccine che riproducono simpatiche espressioni, avatar che mimano comportamenti, applicazioni con cui è possibile comunicare solo con le emoticon, fino ad arrivare a Emojili il social network delle emozioni espresse solo attraverso le famose faccine senza l’utilizzo di post testuali. È stata proprio l’osservazione dell’uso spasmodico che la gente fa delle emoticon a convincere gli ideatori inglesi Matt Gray e Tom Scotto che questo social network potesse avere successo.  Siamo di fronte all’eccesso del minimalismo comunicativo dove la parola non solo non basta più ad esprimersi ma viene addirittura bandita e al suo posto ritornano le immagini più immediate e più comunicative. L’uso dilagante delle emoticon, dunque, non è solo legato al risparmio di caratteri all’interno di un sms, di un post o di un commento su un social network, piuttosto sembra dipendere dal bisogno incessante di esprimere i propri stati d’animo non traducendoli in parole scarne e facilmente  fraintendibili, ma in immagini semirealistiche che siano in grado di riportare in digitale l’espressione dell’emozione che non si riesce a mostrare in rete. La nostra vita è scandita dalle emozioni, sono le emozioni che ci muovono che motivano le nostre azioni e i nostri interessi, infatti, risulta impossibile non esprimerle. Le emoticon o emoji assolvono questo bisogno, ossia quello di far sapere agli altri, impossibilitati a vederci, come ci sentiamo, a prova del fatto che la comunicazione è irrimediabilmente cambiata e il verbale non è sufficiente ad esplicitare pienamente il messaggio che si vuole inviare.  L’incapacità moderna di tradurre in parole le proprie emozioni è la dimostrazione che si è sviluppato un analfabetismo emozionale che non consente di dare un nome ai propri stati emotivi e conseguentemente rende difficile la loro elaborazione. L’emoticon o emoji diventa, dunque, l’ancora a cui aggrapparsi, il mezzo più efficace di comunicazione, perché è facilmente riconoscibile all’interno di un mondo che potremmo definire, consentitemi il termine, alessitimico. Con il termine alessitimico faccio riferimento ad un disturbo l’alessitimia che compromette la consapevolezza e la capacità descrittiva degli stati emotivi esperiti. Non voglio entrare, ora nel merito del disturbo che incide gravemente sulle capacità relazionali dell’individuo, voglio semplicemente evidenziare come la necessità di ricorrere alle emoticon possa essere legata all’incapacità o meglio alla mancanza della parola che meglio esprime quello stato d'animo. Il termine stesso alessitimia deriva dal greco a=mancanza, lexis=parola e thymos=emozione e sta a significare proprio la mancanza di parole per le emozioni. Pertanto lì dove manca la parola arriva l’immagine e dunque l’emoticon rappresentazione visibile e facilmente riconoscibile di ciò che proviamo. Basti pensare a Imojiapp una nuova applicazione che consente di creare l’emoticon partendo direttamente dalla foto della nostra faccia. Cosa penserebbero i grandi poeti e pensatori che hanno sprecato pagine e pagine di parole per raccontare d’amore, di coraggio, di gioia e di dolore, guardando le nostre chat, semplicemente potrebbero pensare di essere tornati indietro nel tempo, quando l’uomo prima che arrivasse la parola disegnava le emozioni e dunque le azioni da lui compiute sulla parete di una caverna. La domanda allora è lecita stiamo progredendo nel modo di comunicare oppure stiamo regredendo?

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Psicologa Ersilia Maria Tuosto © 2016 EmozionalMenteCorpo. All Rights Reserved.

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